Ci sono no? Quei periodi in cui inanellate giornate del cacchio con la stessa facilità con cui un neonato riesce a riempire di m…un pannolino appena messo.
Ultimamente penso di essere sulla cresta dell’onda…negativa, almeno in ufficio.
Oggi l’apoteosi…almeno per ora, perché al peggio non c’è mai fine.
Un attacco diretto e frontale da parte di una serie di colleghi che mi hanno chiamato “a sorpresa” in una riunione cui non avrei dovuto partecipare.
Non voglio però parlare dei motivi dello scontro, delle loro ragioni o delle mie. Quello che mi da da pensare è il MIO atteggiamento.
Non sono mai stato un animale da riunione, uno di quelli che tiene banco e catalizza l’attenzione su di se. Men che meno sono mai stato uno da scontro diretto. Per carità, mi è capitato e mi capiterà, ma tendenzialmente cerco sempre una soluzione mediata, anche se più faticosa, pure se ho ragione da vendere.
Nell’uno contro un po’ ho imparato a farmi un po’ di pellaccia, a difendermi. Se c’è da alzare la voce lo faccio, infischiandomene della pressione che so salire alle stelle in quelle occasioni.
Ma oggi l’attacco è stato tanti (ne contavo almeno sei o sette intorno a quel tavolo nella sala riunione) contro uno. Tra l’altro da parte di colleghi che, riconosco, hanno una capacità dialettica ben più alta della mia.
Ecco, per quanto abbia cercato di difendermi, di argomentare le mie scelte (e purtroppo non solo le mie), di ribattere ai vari attacchi, alla fine ho avuto stessa la sensazione del pugile costretto all’angolo da una gragnuola di colpi.
Ne sono uscito una ventina di minuti dopo malconcio, con parecchi lividi dal punto di vista morale.
Ho passato un’oretta incapace di reagire, fissando in maniera ebete (che non è poi una novità) lo schermo di un PC cercando di capire cosa fare.
La tentazione, seria, era quella di andare dalla mia capa e dire che dopo quindici anni, il mio tempo in questa azienda era giunto al termine.
Ci ho pensato davvero e uscendo dall’ufficio sono andato all’ascensore. Solo che invece di andare nei piani alti, ho premuto il piano terra e sono uscito a prendere una boccata d’aria, tra gli sguardi incuriositi dei tabagisti in astinenza.
Non ho mai fumato, nemmeno un tiro, ma questa ammetto, sarebbe stata una buona occasione.
Mi sono seduto su un muretto e ho cercato di rimettere in sesto i pensieri facendomi aiutare dalla piacevole brezza primaverile e dai consigli di chi stava condividendo il mio stato d’animo in quest’ultimo giorno di marzo.
Ho lasciato perdere l’idea delle dimissioni (tengo comunque famiglia) e ho cercato di mettere in fila i prossimi passi.
Di certo non ne sono uscito e di certo mi dovrò ancora guardare da attacchi e agguati lungo il percorso.
Però col cazzo che gliela do vinta. Certo, mi sarebbe piaciuto avere la risposta pronta, la battuta immediata per controbattere tirando fuori le unghie. Però a me le unghie mi vengono fuori sempre con un attimo di ritardo rispetto a quando vorrei. Invidio chi ha la capacità di avere sempre la battuta pronta, di sapere sempre cosa dire e come.
Il mio è un gap di cui sono perfettamente consapevole.
Nei primi anni ’90 c’era un corridore spagnolo che in bici non rispondeva mai agli attacchi degli agili scalatori. Questi, quando le pendenze si facevano importanti, si alzavano sui pedali staccandolo, ma lui, con calma e pazienza, incominciava a quel punto a spingere sempre più forte sui pedali, fino ad andare a riprenderli spesso staccandoli a sua volta col suo ritmo costante. Vinse cinque tour de France e due giri d’Italia in quel modo.
Ecco…io mi sento un po’ Miguel Indurain e ora incomincio a spingere sui pedali.