Ieri sera ho corso.
L’ho fatto con delle scarpe ormai consumate e il risultato è che mi sono ritrovato con i muscoli delle gambe duri duri.
Ma se andassi in giro indossando delle mutande consumate?
Ieri sera ho corso.
L’ho fatto con delle scarpe ormai consumate e il risultato è che mi sono ritrovato con i muscoli delle gambe duri duri.
Ma se andassi in giro indossando delle mutande consumate?
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Ci ho trovato molto di me nel protagonista di questo libro, un ragazzino, introverso, che racconta di se nell’arco dei 5 set di una delle più belle partite della storia del tennis, la finale di Wimbledon tra l’orso biondo (Borg) e il genio riccioluto (McEnroe).
Tre ore e cinquantatre di una finale che riscriverà la storia del tennis, raccontati da un ragazzino che convive con una madre ansiogena, e con l’assenza di un padre che non ha mai conosciuto.
Scambi incredibili e stati d’animo rimbalzano tra una parte e l’altra del centrale di Wimbledon e le pagine di questo libro.
Non bisogna essere appassionati di tennis per amare questo racconto di cui vi riporto alcuni frammenti:
“Se sbagli sempre la prima battuta, devi avere un’alta percentuale di punti sulla tua seconda. Oppure sei spacciato” A rifletterci, il bello del tennis è proprio questo, ti da sempre una seconda occasione. Voglio dire. E’ un gioco che ha previsto la possibilità di sbagliare addirittura nel regolamento, è consentito, lo perdona.
…e lo capisco anch’io, finalmente, che ogni punto dura un punto, che c’è sempre modo di rialzarsi e giocarne un altro, che niente è mai finito prima che sia finito davvero.
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Lavoro da oltre quindici anni in questa azienda e da undici sono a capo del mio gruppo di lavoro. Si lo so, sono troppi e qua mi sto già rispondendo da solo.
Ma se spieghi in tutti i modi a chi di dovere che la corda è tesa, sul punto di rottura e quelli non sanno far altro che tirarla ancora di più, allora va a finire che ci ritroveremo TUTTI col culo per terra….ma a differenza di questi, nessuno riderà.
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Oggi l’ho rifatto. Erano mesi che non lo facevo.
Ho puntato la sveglia alle 5.30 e una mezz’oretta dopo ero a sgambettare di corsa al parco, armato di lampada da minatore per vedere dove mettevo i piedi.
L’ho fatto per tre motivi:
Fatto sta che prima ancora di andare in ufficio potevo spuntare una cosa positiva nel corso della giornata…anche se ho preso tanto di quel freddo…
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Avevo avuto modo di lavorare per realizzare i suoi libri diverse volte. Conoscevo bene il suo carattere e il suo temperamento, dai racconti dei miei colleghi che passavano le ore al telefono con lei. E poi le correzioni, tremende, sulle bozze, le avevo lette anche io. Però non avevo mai avuto modo di avere un contatto diretto, e conoscendo la sua fama, mi ritenevo fortunato.
Nel 2004 stavamo lavorando a quello che sarebbe stato il suo ultimo libro da viva, Oriana Fallaci intervista se stessa. C’era un dubbio su come dovevamo fare quel tomo, non ricordo se per il formato, la copertina o il tipo di carta. Fatto sta che mi ritrovai in mano quella che in gergo tecnico viene definita maquette, un campione in bianco del libro, per vedere come viene alla fine.
Lo portai al mio capo di allora, che in confidenza con l’autrice, avrebbe dovuto farglielo avere.
Entrai nell’ufficio del capo per consegnare il mio pacchetto e lui mi chiese di aspettare. Alzò il telefono, compose il numero e disse: “Oriana, ho qui il sig. Sylvestro della produzione con la maquette da mostrarti. Ora lo mando da te così ci puoi dare un’occhiata”.
Sbiancai. Lei in quel periodo era a Milano, in realtà a poche centinaia di metri dall’ufficio del mio capo. Confesso che l’idea di incontrarla mi mise in agitazione.
Ebbi poco tempo per pensarci, perché 5 minuti dopo stavo suonando al campanello della sua porta.
Ricordo che mi fece una strana impressione. Piccolina, con l’aria stanca, dimessa e la sigaretta consumata in mano. Pensai che se l’avessi incontrata al mercato rionale, mi avrebbe fatto tenerezza e mi sarei offerto per portarle il sacchetti con la spesa. La casa era buia, per via delle persiane chiuse, fumosa, col soffitto alto e imponenti librerie.
L’accento fortemente toscano, degno di uno scaricatore di porto. Non era gentile e io mi muovevo sulle uova.
Le mostrai la famosa maquette. Mi disse qualcosa sui risguardi…non le piacevano così com’erano.
Peccato che in quel libro, i risguardi non c’erano e io non capivo cosa non le andasse bene.
“Oh grullo, i risguardi !!!” mi urlò, “un sai che sono i risguardi???”.
Feci l’errore di dirle che in quel libro non c’erano i risguardi.
Non l’avessi mai fatto.
Prese quella maquette, l’aprì e mi mise sotto il naso urlandomi quello che per lei erano i risguardi….le alette della copertina, per poi tirarmelo dietro in malo modo.
Qualche secondo dopo mi ritrovai fuori dalla porta, col cuore che andava a mille e un libro in bianco su cui avrei dovuto lavorare alle alette.
Non mi capitò più di incontrarla, ma avevo qualcosa da raccontare ai nipoti.
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Volevo solo segnalare che oggi, dopo veramente tanto tempo, sono andato ad allenarmi e quando sono tornato dalla doccia…
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Due serate, fuori. Ormai non mi capita così spesso di uscire fuori la sera, figuriamoci due volte di seguito.
La prima: tre amici, un ristorante messicano, una caipiroska come aperitivo, una birra messicana travestita da belga, nachos, guacamole, chiacchiere, musica latina come sottofondo, ma non ti dico con la tata, ma te la ricordi quella volta li?, ce la facciamo un’altra birra, buona stavolta, certo che il vigile, ma è questa la vita che volevamo? un compromesso è ciò che voglio? Comunque è bello ritrovarsi, dovremmo farlo più spesso.
La seconda: colleghi, un addio, locale figo, musica alta, certo che se penso che avrei potuto fare il dj, prendi ancora qualcosa da bere? una caipiroska, lavoro, che fatica, lei si che va a star bene, gente figa, rendersi conto di avere il doppio dell’età media, sono vestito ancora come stamattina, ma tu conosci tutti? i piattini per gli aperitivi sono dannatamente piccoli, non ci sta un cazzo, che poi dopo un po’ la musica così alta ti rimbambisce non è vero? e poi non si riesce nemmeno a parlare, ora è meglio che vada, sono cotto.
MIlano by night
di Alessandro Bergamin
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Passano i giorni. Da qualche tempo non sono più nel mood “tutto nero” . Ho un nuovo capo, ho un nuovo ufficio…i problemi al lavoro però sono sempre gli stessi.
Oggi ci si è messa pure la neve. Che per carità, in certi contesti è anche bella….ma in città, con tutto il piciu paciu….anche no.
Ho mollato un po’ con la corsa. Niente maratona di Milano, non ho testa, non ho voglia e in più c’è la gara si Sylvestrino quel weekend. In questa prima parte dell’anno proverò qualche mezza, ma senza troppe pretese. Corro poco e soprattutto ne ho poca voglia. Sto facendo meno della metà dei chilometri che facevo fino a un paio di mesi fa. Ieri ho corso di sera, con la torcia, passando davanti ad un improponibile travesta che mi avrà preso per un minatore matto…(perché lui/lei invece, conciato in quel modo…). Sono tornato a casa dopo 10 chilometri, con poca soddisfazione e un raffreddore noioso. Speriamo non degeneri, perché la terza influenza in un mese mi farebbe retrocedere definitivamente fra le mezze seghe.
Sto leggendo con più continuità. Poche pagine ma tutti i giorni. Adesso sto leggendo un bel libro che parla di un bambino simpatico e della finale di Wimbledon tra Borg e McEnroe. Sono arrivato al 4° set.
Stasera non ho cucinato. La mia cena è stata bresaola e caprino, se non fosse per la neve sembrerebbe una mia cena di luglio. Compenso guardando pigramente Masterchef. Stasera c’è pure Cannavacciuolo, ci si diverte. Comunque io faccio il tifo per Stefano. Maria invece non la posso sopportare.
E intanto fuori continua a nevicare…let it snow let it snow let it snow….canterebbe Bublè.
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