Archivi del mese: dicembre 2015

Ho provato vergogna

Mia madre sta un filo meglio. E’ ovviamente sempre ricoverata, perennemente sotto flebo e col sondino al naso ma almeno la sua bile e tornata a stare tranquilla e lentamente sta cominciando ad alimentarsi con un po’ di brodo.  Lo dico perchè so che siete in molti a chiedermelo e vi ringrazio per l’affetto dimostrato.

Evidentemente non era ancora questo il suo momento e, come un gatto che si rispetti, deve avere anche lei 7 vite (con questa ne ha già consumato un paio).

Riflettevo su un pensiero fatto nei giorni scorsi.

Era domenica mattina, lei era ancora parcheggiata al pronto soccorso e stava malissimo.

In quel momento ero seduto in uno dei corridoi adiacenti, in perfetta solitudine, visto che solo un accompagnatore poteva assisterla e in quel momento c’era mio padre.

Era molto presto, fuori era ancora buio, e io ero li, preoccupato, assonnato, con la mente piena e lo sguardo vuoto. Ricordo che a qualche metro di distanza c’era la saletta dove il medico di turno faceva le TAC per i casi urgenti. Questo medico doveva essere un rocckettaro perchè aveva la radio su Virgin radio con i Queen a tutto volume. Visto il contesto e l’orario era davvero surreale.

Nel tirar fuori l’iphone dalla tasca dei pantaloni per controllare se c’erano dei messaggi devo aver premuto inavvertitamente il tasto Siri che con la sua suadente voce femminile mi ha gentilmente chiesto:

Come posso aiutarti?

Ecco…io non l’ho detto, ma l’ho pensato. Ho pensato…portatela via con te e non farla più soffrire.

Ho provato vergogna per quel pensiero e mi sono ritrovato a singhiozzare, mentre Freddy in falsetto cercava qualcuno da amare.

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delle patate e degli ospedali

Sabato mattina sono uscito di buon ora. Mancavano le patate che con il branzino ci stanno da dio. Passo dai miei che sicuramente ne hanno.

Invece trovo mia madre in mezzo alla sua bile.

Andiamo in ospedale. Chiama il 118. No, la porto io ce la fa e sono sicuro che preferisce.

Il pronto soccorso di Niguarda è come la metrò di Loreto nelle ore di punta.

24 ore passate nell’inferno del pronto soccorso (manco un letto disponibile nei reparti).

Una puntata live di ER medici in prima linea che però non riesci ad apprezzare perchè tua madre sta male.

E’ dura sorriderle mentre sdraiata su quel lettino così scomodo le asciughi la bocca di liquido verde (perchè la bile ha quel colore così orribile?) e tuo padre dietro, di nascosto da sua moglie, crolla in lacrime. Vorresti consolarlo, una volta tanto anche lui, ma non puoi, non in quel momento perchè quella cazzo di bile non finisce mai di uscire.

Fuori la nebbia copre tutto, anche i pensieri.

Ora le hanno trovato finalmente un posto. C’è silenzio, muri dipinti con colori tenui, letti comodi e infermieri pazienti e sorridenti. Sembra assurdo dirlo ma se credessi in un paradiso lo immaginerei così.

E lei si sente a casa in quel reparto di oncologia.

 

pronto soccorso

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della puntualità del Natale e del fisico di mia madre

Perchè il nostro fisico, o meglio, quello di mia madre, non ha un calendario, con le foto del nipote e le festività stampate in rosso.

Il fisico di mia madre conosce solo un calendario che giorno per giorno scandisce le sue funzionalità…dormi, ti svegli, mangi, cammini, parli, leggi…

Il fisico di mia madre è sempre stato forte, quello di una parrucchiera, che non si ammala mai se non, proprio proprio, di lunedì. Ma ora non è più quello di prima. Il fisico di mia madre ora continua a consentire le stesse attività di prima, ma con più fatica.

Si dorme poco, si cammina con le stampelle, si legge meno, non perchè ci si vede meno ma perchè la mano, che tiene il libro, trema.

E ora anche mangiare diventa un problema.

Mia mamma da settimane fa fatica a degluttire, mangia sempre meno e quel che mangia spesso lo rivede dopo qualche minuto rigurgitato in una tazza di gabinetto…se ci arriva in tempo.

Tra i mille esami fatti sembrava che la causa fosse un’ascite, la formazione di liquidi nell’addome. Con un drenaggio il problema dovrebbe risolversi in qualche modo.

Ma come ho detto il fisico di mia madre è beffardo, perchè ci porta nel day ospital oncologico che già da solo meriterebbe una bella riflessione…e dopo ore di attesa e di visite la rinuncia del medico a fare il trattamento.

Non è quella la causa.

Disfagia, questa è la parola nuova che ho imparato nel mio vocabolario oggi. L’incapacità di degluttire e assimiliare cibi più o meno solidi.

Domani torniamo in quell’ospedale per parlare nuovamente col medico, quello che la cura da un po’, e capire quale sarà il nuovo percorso.

Io stupidamente pensavo a un menù di natale che fosse “semplice”, ma temo che mia madre non sarà più in grado di avere alimenti solidi, ancorchè semplici.

So che sia io che mio padre avremo, all’insaputa l’uno dell’altro, googlato le stesse parole per capire cosa ci aspetta e soprattutto cosa aspetta a mia madre.

Lei ovviamente è stanca. E’ stanca di essere stanca, di prendere 20 pastiglie al giorno, di conoscere il nome dei figli di tutte le infermiere del reparto oncologico di Niguarda…più semplicemente è stanca di vivere così.

Da figlio sdrammatizzo, ironizzo, ci scherzo sopra per farla reagire, mi riesce anche bene fortunatamente…ma da figlio suo, la capisco bene, farei esattamente gli stessi pensieri al suo posto.

E questo mentre in ufficio passano tutti a salutare, a fare gli auguri, a invitarti per un ultimo brindisi e ricordarti che per tutti gli altri, o forse per tanti altri, siamo alla vigilia di Natale.

 

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dei brindisi e dei discorsi

I discorsi a fine anno sono una cosa che odio.

Odio parlare in pubblico e odio dire cose banali come di solito si usa in occasione di un brindisi. Non è certo col calice in mano che ti puoi mettere a fare discorsi seri e ti ritrovi a dire un mare di banalità sull’anno impegnativo appena passato, su quello che verrà, sul riposo, la serenità, anche alle vostre famiglie…insomma tutte quelle cose li.

Quest’anno però è un po’ più speciale, perchè sarà l’ultimo natale passato in questo ufficio e per me sarà l’ultimo natale festeggiato con la mia squadra.

Mentalmente mi ero quindi preparato due parole che parlassero di questo, di quanto ci tenessi e di quanto mi mancheranno…ma non ce l’ho fatta.

Quei maledetti mi hanno interrotto scherzosamente più volte, come è nel nostro stile di gente che ama prendersi poco seriamente, almeno apparentemente…ecco perchè quando finalmente mi hanno concesso il silenzio e l’attenzione non ce l’ho proprio fatta.

Gli occhi lucidi mi stavano fregando e sono riuscito solo a dire un banale “auguri a tutti voi”, con la voce un po’ strozzata…però sono convinto che loro hanno capito.

E visto che con voi non voglio essere da meno….eccovi i miei auguri di buone feste anche a voi.

 

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il gatto imbruttito – cronaca di una giornata da convalescente

Ieri sono stato a letto. Da qualche giorno mi trascino un fastidioso raffreddore/bronchite. So che è un segnale preciso del mio fisico che mi dice “hey datti una calmata”.

Di solito cerco di dargli retta, do un’occhiata all’agenda e se il momento è propizio cado malato.

Così ho fatto ieri.

La mia giornata da malato è fatta da un finto tentativo di alzarsi quando la sveglia suona, poi mi abbandono al dormiveglia finchè l’orario è decente per avvertire in ufficio che mancherò.

A quel punto, con la coscienza pulita,  sono pronto per la colazione. Abbandono la mia colazione tipo di yogurt e pancakes e mi butto sul classico latte, caffè (liofilizzato) e biscotti. Vista la cura della dispensa degli ultimi tempi controllo la scadenza della bottiglia del latte….è scaduto solo da un paio di mesi per cui è ancora buono. I biscotti invece sono aperti da quando è passato da queste parti l’ultima volta Sylvestrino…rapido calcolo mentale…ok da agosto non possono essere andati così a male, magari un po’ possi ma in fondo innocui.

A stomaco pieno finalmente passo al reparto cure mediche. Visto che ho finito il paracetamolo il giorno prima controllo cosa offre la cantin…pardon, l’armadietto dei medicinali scaduti. Un’ottima confezione di aspirina del 2014 mi rincuora.

Torno a quel punto a letto  dotato di tutta la tecnologia possibile. Telefonini, ipad, portatile ereader e occhiali da lettura.

Leggo un po’ di rassegna stampa, gli ultimi post pubblicati su WP, qualche cagata da FB, la gazza il corriere la mail d’ufficio…poi comincio a leggere il libro e immancabilmente mi addormento dopo qualche pagina.

Rimango svenuto per un po’ finchè non mi risveglio da qualche ping del telefonino o da qualche chiamata dall’ufficio. Se sono fortunato trovo anche qualche operatore di telefonia o di energia che vuole farmi risparmiare.

A quel punto nuovo giro di email e uazzap, magari una partitina a ruzzle per non perdere il ritmo e siamo pronti per un succulento pranzetto.

Piatto del giorno pastina in brodo. Ovviamente non ho la pastina per cui ricorro agli spaghetti sminuzzati. Il brodo invece ce l’ho già pronto tuffando un dado star nel pentolino dell’acqua che bolle.

Se sono fortunato ho anche della frutta….ma oggi non è il mio giorno fortunato.

A questo punto dopo siffatto pranzo torno a sdraiarmi nella bar…nel letto, luogo ideale per una sana digestione. Non prima ovviamente di aver gustato un’altra aspirina d’annata (forse l’apostrofo non ci andava) a cui aggiungo un fantastico mucolitico espettorante.

Quell’oretta passata a sonnecchiare rappresenta il clou del gatto imbruttito malato.

Al risveglio altro giro di mail, uazzap, ruzzle, gazza, ereader in loop, fino all’imbrunire, intervallando se proprio proprio il tutto con un simpatico tè, scaduto da nemmeno sei mesi, accompagnato dai biscotti estivi.

Sarà solo la cena a costringermi a rialzarmi definitivamente dal sarcofago.

Rapido giro di consultazione in frigorifero (d’altronde per quello che c’era non ci voleva troppo tempo) e mi suicido con un minestrone surgelato. Se non altro, parafrasando il titolo di un recente best seller, il mio intestino sarà felice.

La sera riprende la parvenza della normalità. Se sono bravo mi faccio pure una doccia (ma ieri non ero bravo) e mi accascio sul divano a guardar tv e cazzeggiare in internet come tutte le sere.

Di solito mi concedo almeno un paio di giorni di queste “ferie” alternative e mi bastano per rimettermi decentemente. Ma sto giro l’agenda di outlook mi ha consigliato di darmi una mossa e di tornare l’indomani in ufficio senza curarmi di quella tosse che grazie al mucolitico di cui sopra era diventata così grassa e simpatica.

Il risultato è una simpatica giornata lavorativa passata a rompere l’anima ai colleghi coi miei fastidiosi colpi di tosse (dio quanto li odio quando lo fanno gli altri) e a colmare il cestino di simpatici fazzoletti di carta riempiti di importanti produzioni interne.

Fine del post.

Spero di non aver rovinato la digestione a nessuno…ma d’altronde se così fosse è solo colpa vostra che vi mettete a leggere le minchiate che scrivo.

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Buffo no?

In settimana mi sono ritrovato a fare un po’ i compiti con Sylvestrino. Di solito mi tocca l’inglese, italiano (ma non grammatica) storia geografia e matematica, anche se qui faccio a volte fatica.

Comunque…in inglese doveva esercitare il past tense e parlare di una giornata piacevole che gli era capitata nei mesi scorsi.

Mi è piaciuto quando mi ha detto che avrebbe voluto parlare del concerto degli AC/DC che abbiamo visto questa estate. Ovviamente nel suo stile minimalista e stringato non si è certo dilungato nei particolari, soprattutto per non avventurarsi troppo in concetti in lingua…ma la cosa divertente è che di tutta la giornata, la parte che gli è rimasta più in mente, non sono stati gli assoli di Angus Young, o la voce inconfondibike di Brian, o magari la folla oceanica che assisteva al concerto…ma la pizza che abbiamo mangiato io e lui nel pomeriggio, attraversando Imola, prima di immergerci nell’autodoromo per vedere il concerto…e non posso dargli torto.

Perché in quella pizza, la sua rigorosamente rossa col salame piccante accompagnata da una bella coca cola, c’era tanta, ma proprio tanta complicità. C’era l’eccitazione per l’imminente evento, la stranezza di una “merenda” atipica, il viaggio in treno, le fotografie girate via uazzap agli amici, il rientro che sarebbe avvenuto in piena notte…

E quella complicità è pura magia, che va oltre il concerto della band australiana.

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ma infine…

…stamattina ho parlato con la mia collaboratrice. Era entusiasta. Per lei è una grande occasione. Le brillavano gli occhi quando mi parlava del colloquio che aveva fatto.

Io ho capito come forse per me non ci sia effettivamente più spazio nella nuova avventura e che dopo 16 anni passati a lavorare fianco a fianco sia arrivato il momento di giocarsi le sue, di carte. E l’aiuterò nel riuscirci nel migliore dei modi.

Io dal canto mio sono stato presentato (finalmente, nelle grandi aziende i tempi sono sempre elefantiaci) in maniera ufficiale a quello che sarò il mio nuovo team. Ho visto dei sorrisi, probabilmente hanno bisogno di qualcuno che li ascolti. Un po’ di imbarazzo, soprattutto mio, ma ora inizia il bello, quella della conoscenza.

Forse nella vita ci viene chiesto di fare delle scelte in certi momenti non a caso. Ed è umano avere dubbi, incertezze, pensare a cosa sarebbe successo se…

Ma a valle di queste scelte poi si aprono nuove porte, nuovi percorsi e finchè non li percorri non puoi sapere se ti potranno dare più o meno soddisfazioni.

Chiudi qui quindi il mio trittico del chissà se…da domani si cambia registro.

corsa nella nebbia

PS la foto l’ho scattata stasera durante il mio allenamento serale. Non c’entra molto ma mi piace per cui ve la propongo.

 

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che poi…

…capisci che vuoi proprio farti del male.

Decidi di andare al cinema a vedere un film che si intitola “La felicità è un sistema complicato”, e già sulla scelta ce ne sarebbe da dire.

Poi mandi un messaggio alla collega…

Come è andato il colloquio?

Syl troppo bello per essere vero. Sembrano entusiasti del nostro modello organizzativo! Domani ti racconto meglio.

E tu sei felice per lei, per loro, ma come un moschito fastidioso nelle orecchie, senti ronzare nella testa l’ipotesi di aver fatto la scelta sbagliata

Poi vedi il film. Il protagonista è un professionista, bravo, che fa un lavoro che non ama, che ha un padre che lo ha deluso e che è profondamente solo. E immedesimarsi è un attimo…

I criceti cominciano a girare vorticosamente mentre coi titoli di coda esci dalla sala per andare in bagno. Si perchè non so voi ma a me scappa sempre la pipì quando vado al cinema.

Poi esci. Milano è immersa nella nebbia, affascinante sia chiaro, ma…

Arrivi a casa. Prendi l’ascensore…che si blocca. Cominci a pensare che ci sia una regia occulta alla tua serata, che anche all’interno dell’ascensore ci sia una telecamera nascosta, adesso spunteranno pure le cavallette…

Stai per premere il pulsante dell’emergenza, immaginando già l’effetto che farà quella fastidiosa campanella nel silenzio del condominio…quando il regista pensa evidentemente che per stasera può bastare e fa riaprire le porte all’ascensore impazzito. Nel dubbio meglio fare le scale a piedi…

Stasera va così, ma domani ci sarà il sole, ne sono sicuro.

corsa all'alba

(foto personale)

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Si lo so ma…

Oggi “quelli la”, quelli che ci hanno comprato, hanno chiamato la mia miglior collaboratrice, il mio braccio destro, per informarsi sulla nostra organizzazione, di come lavoriamo, di come siamo organizzati etc.

Si lo so, io sto cambiando lavoro e il mio futuro è un altro, però non posso negare di rimanere un po’ infastidito.

Perchè quella ventina di ragazzi (continuo a definirli così solo perché sono il più anziano) che lavorano con me, li sento ancora più che mai come il “mio” team. Una sorta di famiglia allargata.

Di ognuno di loro conosco pregi e difetti. Di molto ho fatto personalmente il colloquio di assunzione. So come è organizzato il lavoro visto che ho contribuito a fare in modo che così fosse e so quali sono le criticità e le opportunità che si possono incontrare.

Mi sento come se un genitore dovesse dare in adozione i propri figli e gli fosse impedito di spiegare, alla nuova famiglia, cosa mangiano, cosa ascoltano, perchè il grande è introverso e perchè la piccola sempre solare.

So che non dovrei metterla su un piano personale. E’ un lavoro.

Io sono il responsabile e loro i miei collaboratori.

Io cambio mansione e loro cambiano azienda.

Comprendo anche che sia normale che ora diventi il mio braccio destro il punto di riferimento. Lei li seguirà “di la” e lei sarà il loro nuovo capo, o almeno lo spero.

Ma allora perché cavolo mi brucia ‘sta cosa?

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