L’ho ben percepita in questi giorni.
Abbiamo passato questo weekend a preparare e fare un trasloco. Chiunque abbia provato questa esperienza sa che si tratta di qualcosa di pesante, soprattutto dal punto di vista fisico, e stressante da quello di vista mentale.
Nel caso specifico stiamo cambiando casa in quel di Bologna, da quella in cui passo normalmente i miei weekend insieme a mio figlio e mia moglie ad una un po’ più comfortevole a pochi chilometri di distanza.
La nuova casa però non è ancora pronta per cui il classico trasloco l’abbiamo dovuto dividere in due parti. Una prima parte in cui siamo usciti ed una seconda, più avanti in cui entreremo nella nuova casa.
Venerdì e sabato abbiamo preparato oltre 80 scatole, utilizzando non so quanti metri di nastro adesivo, metri quadri di pluriball, scrivendo non so quante parole col pennarello nero e mangiando non so quanta polvere tra quella dei cartoni e quella che spolveravamo.
Come è normale che sia in queste situazioni, la stanchezza fa affiorire le tensioni. I nervi si fanno tesi e gli animi si infiammano facilmente.
Anche con Sylvestrino, che a mio parere avrebbe potuto aiutare maggiormente, visto che sua madre ed io ci siamo ritrovati a finire di impacchettare alle 2 di notte in attesa che qualche ora dopo arrivassero quelli dei traslochi mentre lui guai a dio se non usciva per il suo sabato sera con gli amici.
Noi però stavamo traslocando da una house, certo, con tanti ricordi dei momenti passati nei 10 anni che l’abbiamo vissuta, ma consapevoli che era solo una delle tante tappe del nostro percorso di vita.
Per mio figlio invece si trattava di andare via dalla sua home.
Quando poco prima di chiudere definitivamente quella casa per consegnare le chiavi al nuovo proprietario, l’ho visto vagare, con le lacrime agli occhi, nel luogo che in qualche modo l’aveva visto crescere. Ci ha passato la sua infanzia, dai 6 ai 16 anni. Ci è entrato che era un bambino e ne esce che ragiona come un piccolo uomo.
Difficile non commuoversi quando l’ho stretto forte cercando di trovare qualche parola di conforto. Per lui quei muri erano i testimoni della sua crescita, con i suoi giochi, le sue litigate con noi, i momenti passati insieme a cena o a guardare un film, le ore passate a studiare o a cazzeggiare, guardando fuori dalla finestra quel paesaggio che inevitabilmente non ritroverà più.
Per lui quella casa non era solo numero civico e so già che tutte le volte che passerà li davanti alzerà gli occhi su quel balcone.

…Anch’io ho alzato gli occhi verso la mia vecchia ‘home’ ad Arenzano ! Un posto assolutamente fantastico !
immagino 😉
Ci sarà sempre un posto che è “home” per noi o per i nostri figli.
Per progenie più che una casa è un paese di montagna, quello in cui ha vissuto dalla nascita ai suoi 8 anni.
Per tuo figlio probabilmente sarà questa casa (oltre al fatto che se Bologna città esci per lui e più difficile spostarsi)
Per me è come per mia figlia è una città, Trieste ❤
Per te cosa è "home"?
PS: guarda che brava manco ti ho sputtanato il post con battute
Sai che non penso di avere una home vera e propria? Sicuramente è Milano, ma all’interno di questa città ho fatto diversi spostamenti anche quando ero ragazzo, per cui ho ricordi qua e la.
PS non ti riconosco più
Capisco certe emozioni fino ad un certo punto, avendo cambiando diverse case e città. Ancora oggi che abito nello stesso posto da quasi dieci anni, non sento il sapore della home.
anche io non più di tanto, ma evidentemente mio figlio si.
Ho fatto otto traslochi tra il 2009 ed il 2012… l’ultimo nel 2015, quello definitivo. Mia figlia da qualche mese finalmente fa riferimento a casa come “casa mia”… prima esistevano solo una “casa della mamma” e una “casa del papà”. Ci sono voluti 4 anni perché si sentisse finalmente a casa 🙂
otto traslochi in 3 anni??? Non è che avevi come amante il titolare dell’impresa di traslochi? 😉
ci avevo fatto un pensiero in realtà, gran bell’uomo! 😉