Ormai sta diventando un appuntamento costante. Questa volta però devo dire che mi sono svegliato con delle sensazioni piacevoli.
Ho infatti sognato un viaggio. In realtà i preparativi per un viaggio.
Ero in un gruppo, spirito vacanziero. Dovevo prendere un aereo e avevo uno zaino in spalla suppongo per un lungo cammino.
Prima di partire salutavo gli amici che erano un po’ tristi. Ricordavo però loro che non sarei stato via tanto.
Poi, ed è qui l’elemento che non riesco a spiegarmi, con gli altri compagni di viaggio (tra cui c’era anche il mio capo) andavamo, prima di andare in aeroporto (di getto scrivo sempre aerEoporto e poi mi tocca correggere) in un ristorante. Una sorta di pranzo propiziatorio. All’uscita però, distribuivano carinamente un piccolo gadget per gli ospiti che però scoprivo essere…un pettine, peraltro curiosamente in ferro. Gentilmente declino l’offerta per ovvi motivi.
Poi si sale in tutti auto direzione aeroporto.
Leggendo in rete sognare un pettine non è particolarmente di buon auspicio, però ciò nonostante mi sono svegliato bene.
Sabato finalmente tornerò ad un concerto. Dopo oltre due anni riassaporerò quelle sensazioni, quei rituali, tipici di un grande concerto. Il Komandante mi aspetta in quel di Imola con un biglietto che ormai ho acquistato 3 anni fa.
Non vedo l’ora.
Tra i tanti rituali che precedono il concerto però ce n’è uno che prevede un periodo di full immersion nelle canzoni che andrò ad ascoltare (a riascoltare in questo caso). Quindi venerdì, durante il viaggio per far rientro a casa mi sono sparato per un paio d’ore una compilation di Vasco ovviamente cantata a squarciagola (fortunatamente senza pubblico).
Perché dovrei preoccuparmi allora?
Perché più di una volta, mentre ascoltavo, mentre cantavo, mi è venuto un groppo alla gola. Mi commuovevo e non metaforicamente, mentre le parole del Blasco mi facevano venire scorrere tante pagine della mia vita.
Una mia amica una volta mi disse che non importa chi tu sia, quanti anni tu abbia o quale fase della tua vita tu stia attraversando, ma nelle canzoni di Vasco Rossi ce n’è sempre qualcuna che sembra scritta per te.
Ed è proprio così.
Più di una volta mentre ascoltavo pensavo a cosa mi ricordava quella canzone, quelle parole. Quasi una sorta di bilancio della propria vita. A volte dolce, altre terribilmente amaro.
E il colmo è stato che mi sono commosso non solo per le canzoni, ma anche per le parole che il rocker di Zocca dedicava ai suoi fans. Quando ad esempio, durante “Alba Chiara”, al Modena park, incitava il suo popolo urlando “siete bellissimi…e ce la farete tutti!”.
Ecco, sono il primo ad essere consapevole che così non è. Che non tutti ce la faranno (per un terribile scherzo del destino una coppia che si stava recando al concerto di sabato scorso è stata vittima di un incidente mortale). Però è così bello sentirselo dire. E’ bello crederci, sperarlo ed illudersi che sia così.
E io sono preoccupato, perché ho paura di passare due ore e mezza a piangere come un cretino.
Lo sapevo, lo sapevo, Cenerentola per tutto questo tempo mi ha ingannato. Ma d’altronde cosa potevo aspettarmi da una fanciulla che parla con gli uccelli e i topi?
Comunque anche stanotte ho sognato. Non sto a raccontarvi nel dettaglio cosa perché rischio di diventare monotono. Però vi posso dire che aveva un ambito internazionale e che io lavoravo in Kazakistan (però stavolta non tentavo di mangiare nulla).
Però mi chiedevo…c’è modo di influenzare i sogni. No perché visto che ormai quando mi addormento è come se accendessi una pay-tv onirica, tanto vale poter scegliere. D’altronde quando vai su Netflix puoi scegliere il genere, quelli più visti, le novità. Perché allora non potremmo avere un catalogo dei sogni da consultare prima di spegnere la luce dell’abat-jour? Magari con dei suggerimenti del tipo “chi ha sognato questo ha sognato anche…”. Magari ci sono dei sogni interessanti che però vorremmo vivere più avanti. Allora potremmo metterli in una playlist di quelli ancora da vedere.
Scherzi a parte, c’è modo di influenzare i sogni? C’è qualcosa o qualcuno a cui se pensiamo intensamente ci può apparire nelle immagini notturne proiettate tra le nostre sinapsi? E al contrario c’è un modo per evitare di farlo? O per lo meno per evitare di ricordarlo?
Perché a volte si sogna e altre no? E perché la peperonata gioca un ruolo cruciale in tutto questo?
La mia produzione onirica è parecchio attiva nelle ultime settimane.
L’ultima fatica riguarda un sogno che è avvenuto stanotte.
Come sempre il tutto è un po’ confuso e apparentemente senza senso. Alcuni passaggi me li sono ovviamente dimenticati (dovrei pure io tenermi un taccuino sul comodino per appuntarmi i ricordi al risveglio), ma ricordo questi passaggi:
Dovevo camminare per fare un mpo’ di moto con l’obiettivo di andare fino ad un bar a Cascina Gobba (per i non milanesi è una zona periferica di Milano). Una volta entrato nel bar, di cui non ero un cliente abituale, tentavo di fare colazione con cappuccino e brioche. Solo che le brioches non c’erano ma c’era una invitante torta alla crema. Aspettavo diligentemente il mio turno, ma quando è arrivato il mio momento, la torta era finita. La barista però, con fare un po’ spazientito, va nel retro (come nel sogno scorso) per prenderne una nuova. Mi prepara il mio mio cappuccino, taglia una fetta di torta e con tazza e piattino in mano (di vassoi manco l’ombra) cerco un tavolo dove sedermi. Era mattina presto ma il locale era particolarmente pieno con anche gente che giocava a carte. Vedo dei ragazzi che si stanno alzando e mi dirigo verso quel tavolo. Uno di loro però mi si para davanti e con fare minaccioso mi dice che non sono il benvenuto in quel bar. Sono in tanti, io ho il mio piattino e il mio cappuccino e non mi sembra il caso di mettermi a discutere, per cui me ne esco dal bar e mi ritrovo in aperta campagna con l’erba altissima.
Mi sveglio, con un po’ di amaro in bocca, ma senza più voglia di cappuccino e brioche.
Chi mi conosce, anche solo virtualmente, sa della mia passione per gli sport in generale e di quella per lo spinning in modo particolare.
Pedalo indoor da molti anni e ho sempre apprezzato l’aspetto fisico e mentale di questa disciplina che ti porta a pedalare come un criceto, da fermo, all’interno delle 4 mura di una palestra a tempo di musica. Soprattutto l’approccio mentale ritengo sia fondamentale, per poterti chiedere quel qualcosa in più che ti fa uscire dalla tua comfort zone e finire la lezione stanco morto ma soddisfatto.
Nel corso degli anni ho incontrato tantissimi istruttori, molti bravi, altri meno e ne ho parlato in molti dei miei post (basta scrivere spinning nel motore di ricerca del mio blog).
Ma lui…
Lo chiameremo Lupo de Lupis.
Avevo già scritto di lui qualche tempo fa ma mi sento di dovergli dedicare nuovamente un post elencando i motivi per cui penso debba cambiare mestiere. Avrei potuto andare a fare 4 chiacchiere con il responsabile della palestra per lamentarmi, ma poi penso sempre che lui tenga famiglia e ci campi su questa attività. E poi personalmente non ho nulla contro di lui. Non è stronzo e nemmeno antipatico. Anche se inadatto, secondo me, a fare questo mestiere, è una brava persona.
Questo è il motivo per cui preferisco sfogare in questa sede le mie considerazioni scorrette su di lui.
Ecco quindi i 10 motivi per cui non mi piace pedalare con Lupo de Lupis
1) Assomiglia ad Alan Friedman. Intendo fisicamente e per un insegnante di spinning non è un gran biglietto da visita (però non parla come Stanlio);
2) Non tiene il tempo. O meglio, ogni tanto ci fa pedalare fuori tempo cosa che trovo abominevole per questa disciplina;
3) Usa i vezzeggiativi ad cazzum. Non puoi incitare il tuo gruppo uscendotene con frasi come “aumentiamo i battiti del cuoricino” o “alziamo il sederino dal sellino“;
4) Tiene il volume della musica troppo moderato. E’ come chiedere ad un DJ di non esagerare troppo coi bassi perchè potrebbe dar fastidio;
5) Si rivolge a noi parlando di signori e signorine. Anzi, mentre aspettavamo l’inizio della lezione mi ha detto “oggi dovrebbe esserci anche una principessa” intendendo che stavamo aspettando una donna che si era iscritta alla lezione;
6) Le sue sedute sembrano tranquille lezioni di catechismo. Nulla contro la catechesi, sia chiaro, ma un ambiente come quello della palestra ha bisogno di un vigore un po’ diverso per convincere 4 pirla come noi a pagare un abbonamento per sudare li dentro;
7) Indossa l’abbigliamento della btwin. Per chi ha avuto modo di andare qualche volta da Decathlon, la btwin è la linea di abbigliamento da ciclismo per principianti. Cazzo non dico che devi avere il completo ultimo modello, ma se sei un insegnante devi avere anche un look adeguato;
8) Le sue lezioni sono tristemente deserte. Su 18 bikes disponibili, al massimo siamo in 3 o 4 a pedalare. E’ come andare in discoteca e trovare la pista vuota, ‘na tristezza;
9) E’ egocentrico. Per carità sono l’ultimo che dovrebbe parlare da questo punto di vista, ma non puoi chiederci “di seguirti“. O meglio lo puoi fare se sei un istruttore coi controfiocchi, ma se sei Lupo de Lupis, non pretendere di essere il modello di riferimento, perché se vado a vedere la potenza con cui pedalo io e quella con cui pedali tu, sarai forse tu a seguire me e non il contrario;
10) Risponde al telefono. E’ vero che la lezione era appena iniziata, ma dal momento in cui parte la musica non esiste, nemmeno per una telefonata veloce. Mi danno fastidio quelli che lo fanno partecipando ad una lezione, figurati l’insegnante.
Quindi caro Lupo de Lupis, sia pur con simpatia, dammi retta: cambia mestiere.
Stanotte ho sognato, anzi ormai era mattina. Però non erano i soliti sogni di guerra che a volte mi allietano (emh) la notte ma qualcosa di diverso che provo a spiegarvi nella speranza che qualcuno possa darmi un’interpretazione (io sono negato).
In questo sogno ricevevo la visita di parenti e amici lontani, erano diverse famiglie e in totale eravamo 17 (così magari scappa qualche numero da giocare al lotto). Mi ero offerto di accompagnarli in una gelateria vicino a casa nostra dove fanno il gelato davvero buono. Una dei parenti però era stata categorica e di nascosto mi aveva dato 70 euro per pagare i gelati chiedendomi però di occuparmene io. Pazientemente mi metto vicino al bancone e uno a uno faccio da intermediario tra il gelataio e il parente di turno (grandi e bambini) che esprime i propri gusti e le proprie preferenze se lo vuole in coppetta, cono o cialda.
Il tutto mentre nel frattempo chiacchiero con alcuni di loro spiegando il mio lavoro, che cosa faccio, che responsabilità ho e che nella realtà sarei licenziabile senza preavviso ogni giorno. Una di queste mi da del paraculo, come se le stessi sparando grosse.
Nel frattempo, carinamente, una delle creature più piccole (la figlia di cugini) nel prendere il suo gelato mi macchia i pantaloni bianchi di cioccolato. Il papà fa spallucce e io qualche accidenti mentalmente lo tiro ma continuo a sorridere.
Arriva finalmente il mio turno. Ordino la mia cialda con crema, stracciatella e pane e nutella (un gusto buonissimo) e do i 70 euro alla gelataia che va nel retro per prendere il resto visto che in cassa non aveva gli spiccioli.
In quel momento con tempismo perfetto, suona la sveglia lasciandomi a bocca asciutta senza il mio gelato.
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