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Goals (Gianluca Vialli)

Il sottotitolo dice: “98 storie + 1 per affrontare le sfide più difficili”

Premetto che mi piacciono i libri che parlano di sport e soprattutto ho grande ammirazione per questo campione, tanto da dare il suo nome a mio figlio.

Ciò detto, ero proprio curioso di leggere questo libro, sia per il contenuto che per la storia recente di questo uomo.

Devo dire che le 98 storie mi hanno un po’ deluso. La formula poteva essere anche carina, un motto (sia in inglese che in italiano) e poi una storia sportiva legata a quel motto.

La delusione nasce dal fatto che in questo modo le storie, alcune davvero interessanti, sono appena abbozzate, senza approfondimento e senza che chi legge sia portato ad “entrare” nei personaggi.  Probabilmente se invece di 98 storie ce ne fosse state una quindicina, le avrei trovate più interessanti da leggere.

Ciò detto, alcune citazioni mi sono rimaste, come “Non è grazie alla sua forza che un fiume fora una roccia. E’ grazie alla sua tenacia”, oppure “Senza un progetto, un obiettivo è soltanto un desiderio.”. Ma anche “Datemi sei ore per abbattere un albero e io utilizzerò le prime quattro per affilare l’ascia”, “la fortuna è ciò che accade quando la preparazione incontra un’opportunità” (splendida citazione di Seneca), “Quando tutto sembra essere contro di te, ricorda che l’aereo decolla controvento” e tante altre ancora.

Ma quello che mi rimarrà sicuramente di questo libro è la 99ma storia, quella dell’autore, che nel recentissimo passato è stato colpito da un tumore al pancreas da cui non è ben chiaro quanto ne sia uscito definitivamente.

Mi rimane perchè come spesso avviene, contro la malattia, la testa può fare davvero tanto, non tutto, ma tanto. E il modo in cui lui ha affrontato il suo percorso mi ha ricordato perchè provavo così tanta ammirazione per questo uomo.

Tanto da pensare che, come probabilmente avverrà, quando toccherà a me, sarà questo l’approccio con cui affronterò la mia battaglia. Lottando, ma imparando che la vita è fatta da tante piccole cose che si imparano ad apprezzare solo quando rischi di non averne più.

Sapendo quanto sia importante avere intorno persone che possano aiutarti, ma con la consapevolezza che sarai tu, solo tu, a dover affrontare le dure prove che ti si presenteranno davanti di volta in volta.

Gli altri potranno incitarti, proprio come le frasi motivazionali che Vialli cita nel suo libro, ma sarai solo tu a doverle mettere in pratica.

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Per 10 minuti

In realtà per leggere questo post servirà molto meno.

Però l’ho letto il libro della Gamberale e anche questa volta mi è piaciuto.

Una donna lasciata dal compagno che impara a vivere. Il metodo che le consiglia la sua psicologa è quello di fare, per un mese intero, una cosa nuova, mai fatta, per almeno 10 minuti, ogni giorno.

Questo semplice giochino l’aiuterà a superare quelle barriere che le sembravano invalicabili, ad imparare ad ascoltare e a guardare, oltre che a fare.

E così provando a fare i pancakes, o ballando l’hip hop, o a fare il punto croce, Chiara, la protagonista, imparerà che li fuori c’è un mondo che non aveva mai visto, pur vivendoci attraverso.

Non so quanto di autobiografico ci sia in questo romanzo, ma apparentemente sembra tanto e questo lo rende davvero credibile, oltre che piacevole alla lettura.

Parla di un amore finito (o forse no), ma lo fa raccontando una nuova rinascita, una rivelazione: “E’ faticoso non essere a disposizione di chi amiamo, Chiara. Ma a volte ci tocca. Quella disponibilità infinita, non aiuta noi e non aiuta loro”.

“Perchè deve decidere. O dentro o fuori. Se resta sulla porta mi blocca il traffico”

“Chissà perché non ci siamo neppure mai baciati…Per quel sortilegio che avvolge i corpi degli animi che più ci convincono…per cui va a finire che invischiamo tutti noi stessi proprio con chi, in qualche parte remota del nostro cuore, non ci convince pienamente.”

“Penso a come un distacco non segni per forza la fine di un’esperienza. Anzi: può darle il permesso di durare per sempre.”

Insomma, se volete passare qualche ora accanto ad una piacevole lettura, ve lo consiglio.

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Quando è FB a farti parlare dei libri

Ho sempre considerato FB solo come una vetrina per il mio blog, un modo per condividere con più persone i miei pensieri.

Questa volta però è accaduto il contrario.

Un post scritto su FB all’interno di un gruppo, mi ha dato l’occasione di parlare un po’ di me, del mio lavoro e di conseguenza della mia passione, i libri. E allora perchè non ripostarlo qui?

So che sembrerò presuntuoso…ma ho lavorato nei libri dal 1989 fino a due anni fa. Per chi non lo sapesse mi occupavo della produzione (cosa che tutt’ora faccio ma non per i libri), la stampa, la carta e fin dal principio avevo la buona usanza di portarmi a casa  quel che facevo.
Negli ultimi 15 anni poi, l’ho fatto per una grossa casa editrice e conseguentemente ricevevo una copia campione per ogni novità ed ogni ristampa che facevamo. Fate conto più di 800 novità e 1.500 ristampe circa ogni 12 mesi.
Moltiplicate questi numeri per 15 lunghi anni e avrete un’idea di quanti libri sono passati tra le mie mani.
Purtroppo questa sorta di bulimia mi ha fatto diventare un po’ inappetente, un po’ come un pasticcere che non sopporta più i dolci.
I libri sono diventati per me degli oggetti, carta stampata, a prescindere magari dal loro contenuto.
Sono stato costretto a iniziare a selezionare, a tenere quelli che avevano un valore particolare per la storia che si portavano dietro, almeno per me.
Ho un libro della Mazzucco che mai leggerò ma che per il fatto che mi ha fatto sudare per quelle oltre mille pagine da stampare e rilegare, conservo ancora.
Ho una tiratura limitata, in occasione dell’anniversario di Valentino, con un’orribile confezione kitsch che però non darei via per nulla al mondo.
Ho un numero speciale con i fumetti di Paperino che penso mi abbia fatto venire i primi capelli bianchi e mi abbia fatto perdere una partita della Juve in coppa dei campioni (allora si chiamava così).
Ho libri con dedica fatti da autori che ho avuto la fortuna di conoscere. Uno su tutti La Rabbia e l’Orgoglio di Oriana Fallaci, a cui sono distante anni luce come idee ma di cui ammiro la forza e caparbietà (talmente caparbia che quando la conobbi mi sbattè fuori di casa…ma va be, questa è un’altra storia).
Ho conservato i thriller, poi i romanzi che mi incuriosivano, i libri divertenti, quelli con una copertina originale o quelli talmente originali che ancora oggi non ho ancora capito (Codex di Serafini ad esempio).
Ho libri per bambini e ragazzi che mio figlio non ha mai cagato nemmeno di striscio (e cazzo, non riesco proprio a farlo appassionare alla lettura).
Ho cercato di riempire con le più robuste delle librerie casa mia, ma alla fine sono un ammasso indistinto e confuso di libri colorati che nel 90% non riuscirò mai a leggere.
La mia libreria è piena e disordinata, come lo sono i miei cassetti e la mia testa.
Nel primo caso, mi riprometto di dedicarci tutto il tempo necessario quando magari andrò in pensione (ammesso di andarci).
Nel secondo cerco di separare i sogni dai calzini. Nel terzo invece è una battaglia persa. 😉

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Piccole soddisfazioni

In ufficio nessuna news. La considero già questa una buona notizia. Se non altro da qualche tempo non ho più la nausea quando varco i tornelli di ingresso.

Poi mi sono fatto anche 5 giorni a casa…col mio cucciolo, che ormai è sempre meno cucciolo.

Ma ecco che la vera PS giunge inaspettata nel tardo pomeriggio, da un appuntamento di cui mi ero ricordato solo stamane.

La direttrice del master in cui “insegno” qualcosa del mio sapere (per carità…parliamo di qualche ora in tutto), mi chiede di vedermi…“sai stiamo pensando a qualche cambiamento e volevo rendertene partecipe”.

La raggiungo nella nuova sede in pieno centro (cavoli Milano è stupenda in questo periodo), convenvevoli iniziali e poi…

“se tu sei d’accordo, pensavamo di potenziare il tuo modulo e di proporlo a inizio corso…le tue lezioni sono sempre apprezzate e in un epoca ormai molto digitale, un approccio pratico e materiale alla materia come fai tu è fondamentale per i ragazzi e la loro preparazione nel mondo dell’editoria”.

Beh…parliamo sempre di poche ore…ma più che raddoppiarle mi permetterà di approfondire meglio la materia e soprattutto spiegarla con un po’ più di calma, interagendo di più coi ragazzi. Certo, mi toccherà prepararmi le lezioni, dedicarci più tempo….però è il mio mondo, quello dei libri…e si, sono piccole ma significative soddisfazioni.

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e adesso?

E venne il giorno in cui la tanto famigerata acquisizione si fece.

Il pesce grosso ha mangiato il pesce meno grosso (piccolo non siamo di certo).

Amaro in bocca. 16 anni giocando con la stessa maglietta si sentono, quei colori sembrano quasi tatuati sulla tua pelle.

Però ora si cambia. In meglio? In peggio? Chissà…le bende sono pronte ma per ora le lascio nel cassetto, in compagnia dei sogni e dei calzini.

Stamattina ne ho parlato coi miei ragazzi…ormai vista l’età, la mia, posso chiamarli così.

Come da pagina quindici del manuale del buon capo, ho cercato di tranquillizzarli e rassicurarli. Il diavolo non è mai brutto come lo si dipinge…e magari è anche più divertente.

Però mentre lo dicevo, i 16 anni si sono sentiti tutti…nella mia voce, un po’ rotta,  con qualche pausa di troppo, manco fossi Craxi redivivo.

Però le pagine del libro si girano e ogni tanto i libri si finiscono, per cominciarne di nuovi.

Quindi la domanda di disneyana memoria ora è… “e adesso?”

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Delle regole del blog e dei libri belli

Quando ho aperto il blog mi ero dato poche semplici regole da seguire.

Almeno un paio di post alla settimana, non troppo lunghi da leggere in un paio di minuti e corredati con un video, meglio se con una foto.

Ecco…sulla prima regola sto marcando veramente male.

Non è che non ho cose da dire…ma è la testa per trasferirle nero su bianco che manca.

Comunque oggi, con lo spirito di un autore un po’ scazzato che deve per contratto consegnare un testo da pubblicare al suo editore (devo fare qualcosa per il mio ego che sta diventando bulimico), vi parlo di uno dei libri che ho letto recentemente.

L’ultima settimana di settembre di Lorenzo Licalzi, autore che io amo.

E’ la storia di un rapporto, tra un nonno che pensava di non aver più nulla da dare ed un nipote quindicenne che non sapeva di poter dare così tanto.

Il tutto on the road, come nei migliori film, con un cane ingombrante, un’auto d’altri tempi e tanti personaggi che definirli di contorno è riduttivo.

Licalzi ha la capacità di far ridere e commuovere nell’arco di poche righe e in questo romanzo ci è riuscito benissimo.

Se vi piace leggere e lasciarvi toccare dai sentimenti, ve lo consiglio vivamente.

Io nel frattempo penso con ansia ai 35 km che dovrò farmi domani per allenamento. La mia tabella di marcia su Venezia procede tutto sommato bene e domani svalico il punto più duro di questi mesi di preparazione.

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Un lungo fortissimo abbraccio

Avrei tante cose di cui parlare ma poca testa per farlo.

Colgo allora l’occasione per un tema che nasce da un libro letto recentemente, Un lungo fortissimo abbraccio di Lorenzo Licalzi.

A parte che lui lo adoro per la sua ironia, ma in questo romanzo sviluppa un tema di cui poter chiacchierare sotto l’ombrellone nei prossimi mesi al mare: L’immortalità.

La storia si svolge in un futuro in cui l’età media dell’uomo supera i 100 anni ma dove talvolta, una malattia degenerativa, colpisce i tessuti corporei degli uomini lasciando però intatto il cervello.

Ecco quindi che il nostro protagonista, in maniera sperimentale, si presta ad un trapianto mai tentato prima, quello del cervello nel corpo di un altro uomo.

Ci ritroviamo quindi con un cervello ottantenne nel corpo di un giovane ragazzo ventenne, donatore appena deceduto, con una serie di risvolti non trascurabili. Primo fra tutti quello di avere una moglie, di cui peraltro è ancora innamorato, che continua ad avere settant’anni e che si ritrova ad avere per casa un giovinotto scambiato dai più per un giovane toy-boy.

Inoltre un’esuberanza fisica, tipica di quell’età giovanile, accompagnata però dall’esperienza di un uomo che la vita l’ha vissuta ampiamente.

Ecco, pensavo allora al fatto che, forse, ammettendolo a denti stretti, sarebbe il sogno di tutti noi. Poter rivivere in un corpo “giovane” con l’esperienza di uomo maturo.

Di prima battuta avrei detto che per me non è così, che sono fiero dei miei pochi capelli brizzolati delle mie maniglie dell’amore e del mio mal di schiena che si presenta puntuale con l’umidità. Però questo mio inseguire la forma fisica, voler correre le maratone, giocare a beach tennis buttandomi nella sabbia come un ragazzino…beh, non sono in fin dei conti un voler fermare o almeno rallentare le lancette del mio organismo biologico?

Che poi d’altro canto, a vent’anni non avrei mai potuto e soprattutto voluto affrontare una maratona, non ne avrei avuto la testa e la determinazione.

E perchè faccio questo? Solo per poter essere “meglio” degli altri nella mia miglior forma di antagonismo (io di più), o per poter sognare di poter riportare indietro le lancette e far prendere alla mia vita un percorso diverso da quello che ha preso che gli ho fatto prendere?

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La grammatica del bianco.

Ci ho trovato molto di me nel protagonista di questo libro, un ragazzino, introverso, che racconta di se nell’arco dei 5 set di una delle più belle partite della storia del tennis, la finale di Wimbledon tra l’orso biondo (Borg) e il genio riccioluto (McEnroe).

Tre ore e cinquantatre di una finale che riscriverà la storia del tennis, raccontati da un ragazzino che convive con una madre ansiogena, e con l’assenza di un padre che non ha mai conosciuto.

Scambi incredibili e stati d’animo rimbalzano tra una parte e l’altra del centrale di Wimbledon e le pagine di questo libro.

Non bisogna essere appassionati di tennis per amare questo racconto di cui vi riporto alcuni frammenti:

  • “Cicca, e che cosa c’è di più bello che essere il numero uno?”
  • “Provare a battere il numero uno.”

Se sbagli sempre la prima battuta, devi avere un’alta percentuale di punti sulla tua seconda. Oppure sei spacciato” A rifletterci, il bello del tennis è proprio questo, ti da sempre una seconda occasione. Voglio dire. E’ un gioco che ha previsto la possibilità di sbagliare addirittura nel regolamento, è consentito, lo perdona.

 

…e lo capisco anch’io, finalmente, che ogni punto dura un punto, che c’è sempre modo di rialzarsi e giocarne un altro, che niente è mai finito prima che sia finito davvero.

 

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Quella volta che con l’Oriana…

Avevo avuto modo di lavorare per realizzare i suoi libri diverse volte. Conoscevo bene il suo carattere e il suo temperamento, dai racconti dei miei colleghi che passavano le ore al telefono con lei. E poi le correzioni, tremende, sulle bozze, le avevo lette anche io. Però non avevo mai avuto modo di avere un contatto diretto, e conoscendo la sua fama, mi ritenevo fortunato.

Nel 2004 stavamo lavorando a quello che sarebbe stato il suo ultimo libro da viva, Oriana Fallaci intervista se stessa. C’era un dubbio su come dovevamo fare quel tomo, non ricordo se per il formato, la copertina o il tipo di carta. Fatto sta che mi ritrovai in mano quella che in gergo tecnico viene definita maquette, un campione in bianco del libro, per vedere come viene alla fine.

Lo portai al mio capo di allora, che in confidenza con l’autrice, avrebbe dovuto farglielo avere.

Entrai nell’ufficio del capo per consegnare il mio pacchetto e lui mi chiese di aspettare. Alzò il telefono, compose il numero e disse: “Oriana, ho qui il sig. Sylvestro della produzione con la maquette da mostrarti. Ora lo mando da te così ci puoi dare un’occhiata”.

Sbiancai. Lei in quel periodo era a Milano, in realtà a poche centinaia di metri dall’ufficio del mio capo. Confesso che l’idea di incontrarla mi mise in agitazione.

Ebbi poco tempo per pensarci, perché 5 minuti dopo stavo suonando al campanello della sua porta.

Ricordo che mi fece una strana impressione. Piccolina, con l’aria stanca, dimessa e la sigaretta consumata in mano. Pensai che se l’avessi incontrata al mercato rionale, mi avrebbe fatto tenerezza e mi sarei offerto per portarle il sacchetti con la spesa. La casa era buia, per via delle persiane chiuse, fumosa, col soffitto alto e imponenti librerie.

L’accento fortemente toscano, degno di uno scaricatore di porto. Non era gentile e io mi muovevo sulle uova.

Le mostrai la famosa maquette. Mi disse qualcosa sui risguardi…non le piacevano così com’erano.

Peccato che in quel libro, i risguardi non c’erano e io non capivo cosa non le andasse bene.

“Oh grullo, i risguardi !!!” mi urlò, “un sai che sono i risguardi???”.

Feci l’errore di dirle che in quel libro non c’erano i risguardi.

Non l’avessi mai fatto.

Prese quella maquette, l’aprì e mi mise sotto il naso urlandomi quello che per lei erano i risguardi….le alette della copertina, per poi tirarmelo dietro in malo modo.

Qualche secondo dopo mi ritrovai fuori dalla porta, col cuore che andava a mille e un libro in bianco su cui avrei dovuto lavorare alle alette.

Non mi capitò più di incontrarla, ma avevo qualcosa da raccontare ai nipoti.

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Dei pensieri, delle docce e degli allenaMenti

PENSIERO NUMERO 1

L’altro giorno ho avuto modo di vedere gli allenamenti di scherma di Sylvestrino. Quest’anno non c’ero ancora riuscito.

Sono molto diversi da quelli degli anni scorsi. Meno gioco e più sport. E poi ora ne fa tre la settimana.

Però ho visto un bambino sorridente, che si divertiva. Anche se sudato fradicio, rideva e scherzava con i compagni e col maestro. Questo mi piace.

SCHERMA

PENSIERO NUMERO 2

Lunedì sono stato in fiera, quella del libro per ragazzi e come sempre ho incontrato gente. Gente che conosco e gente che facevo finta di conoscere…ormai sono diventato bravissimo a bluffare.

Poi però sono passato davanti al muro del pianto.

Io lo chiamo così. E’ una parete grandissima, anzi più di una, in cui giovani illustratori si propongono e cercano un lavoro o un contratto con gli editori.

Ogni anno ho l’impressione, anzi la certezza, che il muro aumenti.

Più di tanti grafici sul PIL e sulla disoccupazione, rende molto più efficacemente l’idea di come stiamo andando in questo paese.

IL MUROIL MURO

PENSIERO NUMERO 3

Ieri sera ho fatto il mio consueto allenamento di beach tennis. Evito di parlare delle sfide perse a fine lezione e ripenso alla doccia fatta alla fine.

Il centro in cui vado, ha delle docce terribili. Di quelle col pulsante che si preme per fare uscire l’acqua. Le detesto.

Ieri poi avevano anche lo scarico intasato. Ti facevi la doccia in almeno tre dita d’acqua saponata stagnante. Oggettivamente fa un po’ schifo (devo ricordarmi di mandare una mail di lamentela).

Guardavo quell’acqua e pensavo a quanto sarebbe semplice evitare quel problema. Basterebbe un po’ di manutenzione, un po’ di cura e l’acqua scorrerebbe via regolarmente.

Quante volte ci siamo trovati con l’acqua stagnante. Nel lavoro, nei legami familiari, con gli amici e con gli amanti. Eppure spesso basterebbe poco per far scorrere l’acqua come si deve. Le parole possono essere più efficaci de L’idraulico liquido.

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PENSIERO NUMERO 4

Stasera ho corso. Un buon allenamento, fatto di numerose ripetute, 12 da 400 metri l’una. Poco meno di due minuti da correre a tutta e due minuti per riprendersi prima di iniziarne un’altra.

Le ripetute sono micidiali. Penso che allenino più la mente delle gambe. Perché a un certo punto è con la testa che spingi perchè le gambe ti fanno solo male e non ti supportano (sopportano) più. Il fatto di averle fatte sotto la pioggia battente penso abbia giovato ancor di più.

Manca circa un mese alla data in cui ci sarà la mia prossima (spero) maratona. Non sono ancora sicuro al 100% di correrla, è questo il motivo per cui non sono ancora iscritto. Questione di testa più che di gambe. Domenica ad esempio ho corso per 30 km e ho fatto molta fatica, troppa. Però forse è anche perché ci ho messo della salita. Magari se fossero stati tutti in piano ce l’avrei fatta meglio.

Ecco…sono i se, i magari, quelli che devo imparare a eliminare…quelli che poi t’intasano lo scarico della doccia.

corsa sotto la pioggia

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