Oggi ho letto il post di un mio amico blogger. In questo post racconta un amore finito e non per scelta sua.
Probabilmente avrebbe voluto scrivere un post rabbioso, pieno di rancore, per sfogarsi contro di lei. Apparentemente ci è riuscito, ma io ci ho visto invece una stupenda lettera d’amore.
Lui in questo momento sta soffrendo, tanto. Lo si percepisce molto bene dalle sue parole, dallo stato d’animo che traspare da ciò che mostra.
Però, per quanto paradossale sia l’affermazione che sto per fare, io lo invidio.
Si lo invidio.
Lo invidio perchè l’intensità di quel sentimento è incredibile. Lo invidio perchè nonostante non sia un ragazzino, ha la purezza di un ragazzino.
Lo invidio perchè ha un cuore sano, tonico, vivo, sicuramente che soffre, ma che sotto quello strato di sofferenza lascia intuire una voglia di vivere che ormai, io, non penso proprio di potermi più permettere.
Io ho provato quello che ha provato lui. E l’ultima volta è stata fatale. Da allora ho eretto una corazza impenetrabile per quel genere di sentimenti.
Oggi io posso flirtare, coccolare, affezionarmi, parlare, ascoltare, scopare, usare, una donna, ma non voglio più amare e soprattutto non voglio più essere amato.
E ci riesco anche piuttosto bene, mi vanto del mio modo di essere anaffettivo.
Però mi sembra di stare in un purgatorio, in una landa deserta, arida e piatta.
Certo, sono io il primo artefice, il carceriere di me stesso in questa gabbia dorata. Un detto dice “chi è causa del suo male pianga se stesso” e io non posso che confermare la verità di queste parole. E’ quello che voglio. Non fare danni (perchè amando ne ho causati tanti) e cercare di non subirne.
Però quando vedo chi è diverso da me, chi è ancora capace di provare dei sentimenti così intensi, di amare…beh un po’ di invidia c’è. Il coraggio di provare a volare pur sapendo che si può anche cadere.
Io sono come uno struzzo, un tacchino, un pinguino, un uccello, che per l’evoluzione darwiniana, ha disimparato a volare.