Oggi come tutti gli anni, sono passato da mio padre per andare insieme a trovare la mamma. Era una bella giornata, fredda come lo possono essere tutti i primi giorni di febbraio, ma con un cielo terso ed un sole finanche fastidioso da quanto era luminoso.
Andare con mio padre al cimitero è un rituale. Ha il suo percorso, le sue tappe. Io cammino al suo fianco ma lascio che sia lui a svoltare sempre in vista di quella tomba o di quel vialetto, come fosse Caronte in quel labirinto di anime o più modernamente un navigatore silenzioso.
Da sempre, tutte le volte in cui entro in un cimitero, guardo le lapidi e leggo ossessivamente le date di nascita e quelle di morte. Compio mentalmente il calcolo degli anni in cui sono vissute quelle persone che nelle foto sono sempre sorridenti. Ricordo che da bambino avevo notato che quelli morti giovani, precocemente, avevano la foto a colore mentre gli altri in bianco e nero. Ora però non è più così. In un ambiente in cui non c’è la tecnologia, il progresso si nota solo da questi particolari.
Stamattina il silenzio era disturbato dai giardinieri che tagliavano l’erba, ma forse è stato meglio così. Faccio sempre fatica infatti a trovare delle parole da dire in queste occasioni. “Alla fine rimaniamo legati a dei ricordi e ad una foto.” mi è venuto da dire, ma non mi è sembrata una cosa bella.
Però in quella foto mia mamma è davvero bella e mi consola il fatto di poter usare il presente indicativo per dirlo.
