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La stanchezza

La stanchezza non mi ha mai preoccupato. Pratico sport di resistenza e sono abituato alla fatica fisica prolungata. Ma qua più che di fatica fisica si tratta di fatica mentale.

Sylvestrino continua ad essere un’equazione insoluta. Il peso aumenta insesorabile e l’obesità ha ormai raggiunto livelli preoccupanti. Pesa come me e ormai indossa maglie e pantaloni miei nonostante ci siano 20 centimetri di differenza tra me e lui. Comincia a fare fatica a muoversi e meno si muove e meno gli viene voglia di farlo. Anche la nutrizionista sembra impotente nel riuscire a trovare una soluzione per invertire la sua crescita ponderale. Lui nel frattempo sta scivolando in un baratro psicologico dalle pareti sempre più ripide e scivolose. Fatica nelle relazioni con gli amici e passa sempre più tempo nell’inedia più totale tra repentini sbalzi di umore che mettono a dura prova i nervi di noi genitori.

Sembra non crederci. Sembra si stia lasciando andare ad un destino che subisce passivamente e su cui non crede possa avere alcun potere.

Ma non è così, cazzo.

Sicuramente non potrà avere una vita facile, ma di certo può avere molto di meglio rispetto a ciò che ha ora. Deve solo capirlo e crederci.

Mille volte provo a farglielo capire, a spiegarglielo, a motivarlo e spronarlo. Ma sembra di parlare ad un muro. Pagherei per dover essere io a combattere questa battaglia al posto suo.

L’unica notizia positiva degli ultimi mesi è stata la sua promozione a scuola. A Pasqua non ci avrei scommesso un euro e invece ce l’ha fatta. Almeno può passare un’estate senza pensare ai libri.

Nel frattempo si avvicina il momento della prossima risonanza di controllo, la prima da quando ha iniziato a prendere l’ormone della crescita e stavolta il timore di un risveglio del mostro è molto più tangibile.

Ci sono serate in cui vado a letto distrutto e vorrei non svegliarmi più, ma è un lusso che non posso concedermi. Domani sorgerà il sole e la speranza è che arrivi davvero l’alba di un nuovo giorno.

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Che cazzo di natale

Non va bene. I medici non riescono a trovare una soluzione che possa migliore la situazione. La dieta che segue è sempre più stretta. Da inizio dicembre ha iniziato quella chetogenica (assenza quasi totale di carboidrati) ma ciò nonostante continua inesorabilmente ad ingrassare. Non lo riconosco più e non si riconosce più nemmeno lui. Io che seguo la sua dieta per solidarietà, sgarrando non appena lui non c’è, ho già perso 11 chili. Lui invece continua a metterli su. Pagherei col mio sangue perché avvenisse il contrario.

E’ sempre più demoralizzato. E non posso non comprenderlo.

Lui non si merita tutto questo. E non c’è giorno, ora, minuto in cui non mi chieda perchè. Perché lui.

Viene voglia di sbattere la testa contro il muro.

Anche cercando tra gli articoli medici leggo che “L’obesità ipotalamica presente frequentemente nei pazienti soprattutto giovani che hanno subito danni da tumori o terapie chiurgiche all’encefalo…non ha trovato ad oggi un trattamento realmente efficace”. E quindi? Come faccio a spiegare a mio figlio che i medici non sanno che pesci pigliare. Come faccio a spiegargli che dopo aver gioito per aver avuto salva la vita dopo quel delicatissimo intervento, ora rischia di essere condannato a vivere una vita di merda.

Quest’anno niente auguri. Non c’è proprio nulla di cui festeggiare.

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24/7 – Non so nemmeno perché lo scrivo qui

Sylvestrino è ricoverato da 5 giorni. Ormai non ce la faceva più a camminare senza stancarsi, dormiva sempre…speravamo che l’aria di Riccione potesse dargli stimoli positivi ma invece niente.

Abbiamo chiesto al neurologo che l’ha visitato se non fosse il caso di ricoverarlo per fare più velocemente gli esami che doveva fare e così è stato.

L’hanno rivoltato come un calzino, esami su esami fino all’ultimo, la risonanza magnetica.

Poco dopo averla finita i medici ci hanno convocato. Non un buon segno.

Nello studio dove ci hanno accolto erano in 6 e anche questo non era un buon segno.

Dentro di me avevo una grande paura che non avevo mai confessato a nessuno, proprio per esorcizzarla, ma così non è stato e la diagnosi è una mazzata sui denti.

Tumore al cervello.

5 centimetri per 4. Ci hanno ftto vedere le immagini ed è impressionante, è come se avesse una pallina da ping pong ficcata in mezzo al cranio.

E’, almeno quello, operabile. Ci hanno trasferito in un ospedale specializzato in questo tipo di interventi. Sarà un’operazione lunga, con tante incognite (riusciranno a togliere tutto? Riusciranno a non ledere parti del cervello?) e con un decorso lungo. Lunedì o martedì sarà il giorno della verità.

Lui è tosto, ha voluto sapere tutto anche se a volte sembra non abbia capito bene che cosa gli sia capitato.

16 anni (ormai lui dice che va per i 17).

Ho paura e ne ha anche mia moglie anche se ovviamente a lui non lo diamo a vedere. Cerco di essere sempre ironico, sorridente, di sfotterlo come sempre.

“Chissà se una volta operato non torni ad avere gusti musicali più decenti” gli ho detto quando mi ha chiesto di sentire questa canzone. Oggi è il 24/7.

“Seguo soltanto il mio cuore (cuore)
Anche se porta a un errore”

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La paura di correre

L’ultima corsa fatta risale ad agosto, mentre ero in vacanza. E prima di quella avevo smesso di correre con una certa regolarità, anche se solo per una o due volte la settimana, da giugno.

Non so quale strana fobia mi avesse preso, ma mi era sopraggiunta la paura di correre. Avevo paura di non riuscire, di fare una fatica insostenibile, di farmi male alle giunture. Questo faceva si che ogni minima scusa mi bastasse per evitare di farlo anche quando mi ero già programmato una seduta.

Sono stanco, ho fatto tardi, mi sono dimenticato le scarpe, piove, le cavallette…

Metteteci che pure mio padre, runner molto più assiduo ed efficace di me, sta vivendo in queste settimane la stessa fobia. Nel suo caso per motivi un po’ più fondati, visto che un mesetto fa mi ha chiamato dal pronto soccorso mentre ero a bologna, per dirmi che era caduto, battendo la testa e rimediano punti ed escoriazioni qua e là su tutto il corpo. Ci siamo un po’ spaventati e ho anche passato qualche notte con lui a casa sua per precauzione, risvegliando anche ricordi dolorosi (l’ultima volta che avevo dormito in quella casa era per accudire a mia madre).

Fatto sta che come uno scrittore ha il blocco nell’ispirazione, io mi sono ritrovato col blocco del runner.

Le 5 maratone e la ventina di mezze che avevo corso negli ultimi anni sembravano improvvisamente cancellate come una scritta fatta col gesso sulla lavagna.

Stasera però ce l’ho fatta, sia pure sul tapis-roulant.

Ho fatto la mia consueta seduta di spinning (perchè non corro ma non vuol dire che non faccio attività sportiva) e, cambiata la maglietta e i pantaloncini, mi sono messo sull’attrezzo motorizzato e ho impostato 5 km come obiettivo da percorrere.

Forse più di quelli che avrei dovuto visto la mancanza di abitudine al gesto dopo tanto tempo e soprattutto dopo un’ora di pedalata intensa che comunque si faceva sentire sui quadricipiti e i polpacci. Però se c’è una cosa che non mi fa difetto è la determinazione, almeno in campo sportivo, per cui sia pur a passo di lumaca (pero comunque correndo, non camminando), li ho portati a termine.

Ora mi fanno male le gambe, però sono soddisfatto. Vediamo se riusciamo a dare un minimo di continuità e riprendere un po’ delle vecchie sensazioni.

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una poltrona (s)comoda

La mia, oggi.

Sapevo che quel progetto, quello che mi sta facendo diventare matto e che non mi piace nemmeno tanto, ha come obiettivo di fondo quello di far risparmiare dei soldi.

In questo caso risparmiare vuol dire principalmente pagare meno attività già poco pagate o eliminarle del tutto.

Nel caso di fornitori esterni si tratta di spiegare loro che c’è la crisi, che la strada è quella e che ahimè è meglio se sfruttano i prossimi mesi per cercare nuovi clienti.

Ma tra gli “effetti collaterali” sapevo che c’era anche lui.

Lui è un grafico freelance che lavora pressochè esclusivamente per noi. Non dipende da me, lavora per le redazioni, ma di fatto il mio progetto azzera completamente l’attività che dovrà svolgere per noi.

Mi chiedevo come mai non mi avesse ancora bucato le gomme.

Invece oggi si presenta nel mio ufficio.

Hai un attimo? Posso parlarti?

So del progetto che stai portando avanti. Lo capisco. Però ti chiedo una mano. Io sto cercando altri clienti, ma ho 59 anni e oggi il mercato cerca grafici giovani da pagare poco. Se conosci qualcuno che ha bisogno o se posso esserti di aiuto in qualche altro modo…

Mentre parlava aveva gli occhi lucidi, balbettava, aveva anche un tic agli occhi che col passare dei minuti peggiorava sempre più.

Ho provato veramente pena per lui, anche se mi odio per il solo pensiero. Mi chiedevo quale sensazione si prova ad arrivare alla fine di una carriera lavorativa, quando vedi il miraggio di una pensione guadagnata e sudata e ti vedi franare tutto ad un passo da quel traguardo…per colpa di un progetto che qualcuno, asetticamente, ha pensato intorno ad un tavolo di una sala riunione.

Domani potrei trovarmi io al suo posto. L’incubo di non avere più un reddito, di non avere un lavoro.

In passato mi è capitato di trovarmi nella stessa (s)comoda situazione con ragazzi più giovani. Però è la prima volta che mi ritrovo a tirare un colpo basso a qualcuno come lui.

Cercherò di aiutarlo…anche se non so come. Intanto continua a venirmi in mente la sua bocca, asciutta, che balbetta mentre gli occhi che sbattono nervosamente.

 

looking-for-a-job

 

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Riflessioni davanti ai Corn Flakes

La mia esistenza, come quella di tutti, è fatta di alti e bassi.

Ci sono momenti poi in cui i bassi ti sembrano corrispondere alla tempesta perfetta. Un insieme di fattori negativi che statisticamente non capitano mai tutti insieme tranne che in rarissimi casi.

E come in ogni tempesta, c’è l’occhio del ciclone, quella piccola zona al centro di quel gran vorticare, in cui regna la calma più assoluta.

Ieri sera penso di essermi trovato in mezzo all’occhio del mio ciclone.

Ero al supermercato, e mentre cercavo tra gli scaffali lo yogurt, i pomodori o l’ormai inseparabile provvista di chinotto, ho raggiunto la consapevolezza.

Penso fosse proprio davanti ai corn flakes, che di solito prendo con i pezzetti di cioccolato belga ma che ieri ho preso in offerta coi frutti rossi.

E’ li che ho capito che la paura di buttarsi e di farsi male forse è esagerata.

Perchè guardando bene, affacciandosi da quel parapetto, il salto da fare non è poi così alto. Ad occhio e croce sarà un metro e mezzo, forse due.

Se mi butto e sto attento magari non mi faccio assolutamente nulla. Ma se anche dovessi cadere male, il peggio potrebbe essere una slogatura o poco più.

E pensare che per anni sono sempre stato convinto che non sarei sopravissuto a quel salto o che comunque mi sarei fatto molto molto male.

Ok….è arrivato allora il momento di saltare.

street jumping

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del terremoto e della nintendo…

Finora le uniche mie esperienze con una scossa tellurica erano, fortunatamente, limitate. Un paio di casi dove, avvertendo un lieve tremolio, la domanda principale era “ma era davvero un terremoto?”

Nella notte tra sabato e domenica invece non ho avuto di questi dubbi.

Il letto ha iniziato a oscillare pesantemente, tutto ciò che poteva tremare o tintinnare ha incominciato a farlo rumorosamente e un boato così cupo  e sordo che neanche il migliore dei subwoofer avrebbe potuto replicarlo così efficacemente, ha iniziato il suo concerto per una ventina di interminabili secondi. Un buon velocista in questo lasso di tempo riesce a percorrere a piedi circa 200 metri, io invece sono rimasto ai blocchi di partenza….pardon…inchiodato nel letto nella speranza di svegliarmi di soprassalto pensando “cacchio se era reale questo incubo”.

Ovviamente la notte è proseguita in bianco, anche se, probabilmente un po’ incoscientemente, siamo rimasti in casa pensando che il peggio fosse passato.

Da li in poi e tutt’ora, è un continuo star sul chi va là, tentando di percepire ogni minima vibrazione.

Dopo la prima scossa sono riuscito a percepirne nitidamente almeno altre tre, anche se i media parlano di centinaia di scosse di assestamento.

La cosa che mi ha più impressionato però non è stata la notte di sabato, ma quella dopo.

Infatti, mentre la domenica è trascorsa tutto sommato tranquillamente, visto che con gli amici, si riusciva a parlarne, a raccontare, scherzare,  cercando di esorcizzare la cosa,  anche se a 30 kilometri da noi avevano ben poco da scherzarci, l’approccio alla sera è stato decisamente diverso.

L’arrivo delle tenebre, complice sta caxxo di pioggia che non ci molla più, ha reso l’atmosfera decisamente tesa.

La preparazione dello zainetto in caso di necessità da appoggiare alla porta di ingresso, la porta chiusa solo con una delle due serrature (così è più veloce aprirla), le spiegazioni fatte a Sylvestrino, misurando le parole per non spaventarlo troppo, pur cercando di fargli comprendere l’importanza della cosa…..beh, qualche angoscia la mettevano.

L’unico momento in cui mi sono messo a sorridere è quando mio figlio, annuendo consapevolmente e responsabilmente alle raccomandazioni che gli facevo e dando prova di aver capito l’importanza della situazione mi ha chiesto innocentemente….”papà, però nello zainietto ci puoi mettere pure la nintendo ds?”

 

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me la son fatta sotto

Domenica, con il gruppo dei pargoli e genitori andiamo in uno di quei parchi in in mezzo ai boschi dove fanno i percorsi avventura, quelli sugli alberi.

Mentre aspettiamo il nostro turno per indossare l’attrezzatura, Sylvestrino incomincia a manifestare la sua inquietudine. Lui non è mai stato spericolato e l’idea di arrampicarsi su quegli alberi non gli va proprio.

Però il biglietto l’ho pagato per cui mi fai il santo piacere di metterti l’imbragatura e ascoltare la spiegazione, dopodichè se vuoi stare giù a guardare gli altri fai pure...

Incominciamo i percorsi. I piccoli per conto loro seguiti a turno da uno dei genitori, e i grandi che si avventurano tra ponti tibetani, ponti nepalesi, carrucole e liane.

Ovviamente i percorsi sono con un livello di difficoltà via via crescente.

Nel gruppo, memore delle mie esperienze sui rollercoaster di Mirabilandia, passo per quello più impavido, il punto di riferimento.

Qui però al coraggio bisogna abbinare una discreta abilità e destrezza, che per quel che mi riguarda, nonostante la mia anima felina, non mi appartiene per nulla.

Mi sento molto giochi senza frontiere, e alla fine del secondo percorso, quello medio, con la maglietta intrisa di sudore gioco il jolly: “i bambini hanno fame….facciamo pausa!”.

Ci rifocilliamo commentando i passaggi più difficili e esaltando le imprese dei più piccoli. Anche Sylvestrino, passata la diffidenza iniziale ci ha preso gusto e non vede l’ora di tornare ad attaccare moschettoni e carrucole ai cavi d’acciaio.

Con la panza piena e con l’entusiasmo di un cappone alla vigilia di Natale, riprendiamo le nostre sfide.

Inizio il percorso “difficile”. Già la partenza con una scala di corda luuuunga e decisamente poco tesa, mi fa capire che le piadine hanno fiaccato oltre che il fisico anche lo spirito. Le gocce di sudore che copiose incominciano a imperlare la mia fronte ne sono la testimonianza.

Arrivo in cima, più o meno all’altezza di un palazzo di 3 o 4 piani. Ponte tibetano. Una fune sotto  piedi e una fune per reggersi con le mani. Si può fare, anche se la lunghezza del percorso è particolarmente impegnativa, almeno una ventina di metri.

Arrivo in fondo, mentre uno dei miei soci che mi precede (eravamo a quel punto rimasti solo in tre a sfidare il vuoto) incomincia ad anticiparmi da bastardo inside le “emozioni” dei passaggi sucessivi.

Arriva il mio turno, all’arrivo mancano solo tre passaggi. L’ultimo è una semplice carrucolata per riportarti a terra, non desta preoccupazioni. Ma prima un passaggio con tronchi appesi a funi, posti ad una distanza tale da dover richiedere un forte dondolamento del corpo per poter passare da un tronco all’altro. A seguire un passaggio che richiede una camminata su una fune con l’aiuto di un bilanciere.

Mi cago sotto. Al secondo tronco mi dico “ma chi cazzo me lo fa fare”. Torno indietro sulla piattaforma. Urlo a quello che stava iniziando il ponte tibetano di fermarsi e incomincio alacramente a ripercorrere  i 20 metri della fune in senso opposto.  A quelli che incrocio e che con lo sguardo mi interrogano spiego che non mi sento molto bene. Una palla bella e buona per non affossare ulteriormente il mio orgoglio ferito.

Gli altri miei compagni di avventure nel frattempo sono arrivati al traguardo e giustamente gongolano soddisfatti.

Tocco terra e a mio figlio che chiede spiegazioni cerco di impartire una lezione filosofica di come a volte bisogna saper perdere…nel frattempo alzo gli occhi e vedo una serie di ragazzini di 12 anni che passano indenni i punti critici che mi hanno sconfitto.

Cazzarola….ci devo riprovare quanto prima !!!

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tanta palula

Si oggi ne ho avuta un po’. C’era finalmente l’eco in cui avrebbero diagnosticato l’entità dello strappo e mi avrebbero detto come sarebbe stato il prosieguo della terapia.

La notte non ho chiuso occhio. Tensione, mal di testa e questa cavolo di posizione in cui sono inchiodato non me lo hanno permesso.

Ore 12,50 visita. Il “mio” medico, quello che se non altro mi ha preso in cura, mi accompagna dal suo collega ecografo.

Mi accomodo sul lettino, con la leggiadria di un balenottero spiaggiato e mi tolgo la fasciatura che ormai odio con tutte le mie forze.

Il mio medico mi consola: “vedrà, se va come dico io non dovrà neanche rimetterla e inizieremo per bene una terapia più aggressiva”.

consolato dal pensiero, ma preoccupato da quell’aggettivo….aggressiva…..vedo l’ecodottore stendermi sul polpaccio il gel appicicaticcio.

L’ecodottore, incomincia a girare in tondo con il sondino e poi incomincia a premere facendomi cacciare urli atroci. Per niente preoccupato dalla mia reazione incomincia a commentare col collega…..umh…guarda qui…..e giù a premere ancora di più.

Morale della favola, vedono un piccolo grumo. Il rischio, remoto dicono loro, è che possa trattarsi di un coagulo che nella vena abbia formato un trombo.

Ci vuole un ecodoppler d’urgenza.

Giro di telefonate e riescono a strappare al proffessor tal dei tali, esimio primario della clinica pinco pallo, una visita la sera stessa.

Io abbozzo un: in ufficio chiedono informazioni sul mio rientro. Quale potrebbe essere lo scenario? Ora non se ne parla nemmeno. Nella peggiore delle ipotesi potrebbe trattarsi di 5-6 mesi.

E la terapia? Per ora sospendiamo tutto in attesa dell’esito poi si vedrà.

Sbianco. In auto sulla strada di ritorno sono preso dallo sconforto. Il magone sale.

Vado a casa (per chi non lo sapesse sono ospite dai suoceri che abitano a pian terreno, mentre io dovrei farmi 3 piani a piedi). Mi attacco subito in internet e incomincio a informarmi sui trombi e qui mi rimandano come link correlati a embolia polmonare, ictus, e chi più ne ha più ne metta.

Lo scoramento aumenta, passano le ore e la tensione sale.

Arrivano le 18,30 e mia moglie mi accompagna alla clinica in questione. Trova anche una sedia a rotelle per accompagnarmi che però guida con poca maestria.  Scatto di ilarita…..sarà la tensione che affiora che fa questo effetto.

Il medico mi chiama. E’ gentile, più delicato di quello della mattina, e dopo un attenta visita, mi conforta dicendomi che per quel riguarda le vene e le arterie è tutto a posto…..certo che però lei ha un cratere nel muscolo…..

Per ora incasso la prima buona notizia degli ultimi giorni e aspetto cosa deciderà di fare il medico domani.

Terapia blanda o aggressiva? Veronica attende le dritte per torturarmi a dovere…..

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