
La donzelletta vien dalla campagna
in sul calar del sole,
col suo fascio dell’erba; e reca in mano
un mazzolin di rose e viole,
onde, siccome suole, ornare ella si appresta
dimani, al dí di festa, il petto e il crine.
La poesia non è mai stata il mio forte.
Alle elementari, erano per me solo parole in sequenza da imparare a memoria, mettendo già allora alla prova la mia scarsa capacità da questo punto di vista.
Alle medie poi ho sempre trovato macchiavellico il fatto che i poeti, per raccontare quel che passava loro per la testa, dovessero decantarlo in vattelapescasillabi rendendo tutto più difficile a noi poveri studenti.
Se sei triste, dì “sono triste”. Se ami una donna dì “ti amo”. Perchè complicare tutto con rime baciate o alternate?
Non è un caso poi che questa mia non indole mi ha portato a frequentare un istituto tecnico lasciando ai compagni secchioni il piacere della poesia e delle lettere nei licei.
A distanza di anni poi ho capito che la mia idiosincrasia verso la poesia in fondo, era solo invidia per chi aveva la capacità di amare e capire questa forma d’arte….ma in realtà non era questo di cui volevo parlare.
E’ che fra le tante poesie che ho odiato, questa del Leopardi invece, chissà poi perché, mi è sempre rimasta impressa. Il piacere per l’attesa e quella sensazione che ti fa sorridere al pensiero di ciò che deve accadere.
Ecco, io stasera penso di essere in quella fase……. attendo e sorrido.
Si lo so, in realtà il Leopardi nella seconda parte riuscì a trasmettere il suo celeberrimo pessimismo. Ma se per me era già tanto ricordarmi della prima parte pensate che la seconda avrebbe mai potuto entrarmi in testa e rovinare il piacere di quei primi 37 versi?
PS: per il sabato del villaggio bisogna proprio aspettare il sabato?
PS2: per mia mamma nessuna nuova